Exfabbricadellebambole, a Milano in via Dionigi Bussola 6, (CLICCA QUI:MAPPA) era la fabbrica dei giocattoli Mattel, ovvero dove si fabbricavano le Barbie ed Ercolinosempreinpiedi, ora è la sede di una nuovissima Associazione Culturale dove è anche possible essere ospitati con Bed&Breakfast. Fondata da Gustavo Bonora (pittore e psicanalista) Rosy Menta (naturopata) e Daniela Basadelli Delegà (uff. sempa e P.R.), l’Associazione è un luogo gradevolissimo e gestito con energia (link al sito). Milano Arte Expo riceve il seguente testo e volentieri lo pubblica, invitando a commentarlo nella convinzione che possa suscitare un dibattito.
Chi sono Gustavo Bonora e Rosy Menta?
Gustavo Bonora pittore e psicanalista e Rosy Menta naturopata, hanno gestito negli anni ’80 una galleria-centro culturale Arsgallery-S.Tecla (dal ’78 all’ ’84).
Rosy e Gustavo, dopo una lunga parentesi ligure tornate a Milano con un nuovo progetto, di che si tratta?
Uno spazio polivalente che accoglie e programma eventi culturali che vanno dall’arte e a tutto ciò che risponde conoscenza e informazione interdisciplinare, e accogliere e promuovere giovani artisti, esordienti ma con un un’occhio all’impegno etico nel mondo del volontariato e alla collaborazione con persone ed enti che operano nel volontariato, alla difesa dei diritti umani, delle cure non invasive, dell’ambiente.
Cos’era il Centro Culturale S.Tecla? Che iniziative avevato realizzato?
Il S.Tecla, nasceva a nel centro di Milano con gli stessi intenti di exfabbricadellebambole ma era anche un centro di convegno e di ricerca di psicanalisi lacaniana allora in auge. Si organizzavano mostre/eventi in collaborazione con il Comune di Milano, il Goethe Institut, Consolato Danese Centro Culturale Francese, Consolato Jugoslavo e altri.
Hanno esposto all’epoca: Asinari, Jokanovic-Toumin, Jean Luise Vila, Jean Degottex, Jean Clareboudt (allora erano giovani o poco noti in Italia, ora esposti nelle più prestigiose collezioni/gallerie internazionali); Olivieri, Crippa, Gallerani, Brusamolino, Pardi, Cavaliere, Moncada, Grillo, Vedova, Signorini… tanto per citare alcuni nomi e fra i giovani d’allora, Pizzi, Ho-Kan, Barna, Basile…
Com’era la Milano deli anni ’70 e ’80? Com’è la Milano di oggi?
Nella Milano di quelli anni, a differenza di oggi, le gallerie erano dei luoghi d’incontro che promuovevano dibatito e progettualità.
Mi avete detto che intendete di occuparvi di giovani artisti che frequentano l’Accademia e di artisti trascurati dalla critica o addirittura sconosciuti, perché?
Perché la logica di mercato e l’andamento della critica persistono sulle certezze dominanti e sui nomi
accertati, mentre riteniamo che ci siano molti artisti che per motivi soggettivi ma hanno avuto e abbiano difficoltà a inserirsi nel circuito chiuso del sistema. Crediamo sua giusto dare delle opportunità.
Gustavo, tu con la tua lunga esperienza di pittore critichi fortemente l’arte contemporanea, perché?
No, non critico l’arte contemporanea, sono scettico nei confronti di un sistema che non è più capace di discriminare fra il vero e il falso.
Dove risiede l’equivoco? Quando inizia?
Ormai, sotto l’egida del sistema critico-mercantile le categorie logico-linguistiche non sussistono più ed è possibile qualsiasi cazzata. La cosa inizia quando, dopo l’Avanguardia, si è instaurato il vezzo retorico delle “neo-neo-neo… qualsiasi cosa”, purchè voluta e promossa dall’arbitrio discriminato dei critici. Vuoi qualche nome? Da Gillo Dorfles a Bonito Oliva, fra i due metti tu i nomi che vuoi se non hai nulla da temere. Ti invio un sintetico scritt, dal titolo”Concettuale” sperando che tu voglia pubblicarlo perché potrebbe stimolare un dibattito intellettuale. *[pubblicato in calce]
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La curiosità e l’entusiasmo per la vita sono il segreto della longevità cosa ti interessa di quanto accade oggi?
Comunemente si sorvola sul fatto che un’artista debba o possa esse anche un’intellettuale, è possibile ciò sia un tabù? Io mi diverto ancora a studiare e a confrontarmi con tutto ciò che serve a discriminare il limite discriminante fra il vero e il faslo.
Che progetti avete per il futuro?
Vogliamo far crescere questo spazio un po’ anticonformista, che fra l’altro ospita anche un servizio “Letto&Colazione” per artisti e turisti culturali e non, farlo diventare un punto di incontro fra cultura, culture e progettualità.
“Concettuale”
Siamo nell’era del “Concettuale” e, al di là del manifesto dei suoi adepti storici, è uno statuto linguistico carico di valori simbolici e teoretici esteso a tutto il mondo dell’arte contemporanea; ma persiste un punto controverso, ci si chiede a chi è conferito il primato teoretico, all’artista o alla critica? Nella disputa che si accese a nel 1978 a Montecatini [1], la voce di F.Menna si elevava come un monito: Una critica senza oggetto non può esistere, anche se resta da accertare lo statuto epistemologico della relazione fra i due termini. Tanto più che non è soltanto la critica che si configura come uno statuto analogo, almeno da un’angolazione linguistica, dato che, in ogni caso essa interviene su un codice acquisito e lo modifica in maniera più o meno profonda.
Il monito era rivolto a F. Lyotard che asseriva che, dopo l’Avanguardia, il confine fra la teoria e la pratica è così sottile che l’affinità necessitata dalla strettoia concettuale condiziona la dialettica in tutti i giochi possibili.
Come scriveva M. Merlau-Ponty: Il problema moderno di sapere, come l’intenzione del pittore, rinascerà in coloro i quali guardano i suoi quadri, non è nemmeno posto dalla pittura classica. [2]
Quanto alla tempestività Quanto alla tempestività di un’interpretazione, vuoi che la critica sia in anticipo sul ritardo della pertinenza a leggere?, si pone la questione dell’intelligibilità, il divario persiste fra guardare e vedere, eppure, se il salto metafisico moderno induce il fruitore ad una lettura impegnata, la visione moderna apre anche ad una nuova competenza ermeneutica dei costrutti storici.[1] Lo schema che intercorre fra i due poli del “problema moderno”suscita la domanda: qual è la condizione perché le due entità si sintonizzino sull’opportunità noetica [2] di intendersi? Occorre la competenza a leggere, altrimenti il fruitore “guarda” la cosa ma non “vede” l’imago, la competenza del fruitore implica l’impegno etico dell’adesione concettuale al Nous [3] dell’autore e, condiviso lo statuto estetico, procede dal “guardare” al “saper vedere”. Resta sempre da stabilire il ruolo della critica; conferitagli la competenza descrittiva, avrebbe o no la funzione discriminante della valutazione?
L’impulso a leggere è quello di un sapere che giunge a confermare un talento non innato, ma acquisito per iniziazione etica. Per esempio, leggere Joyce, significa stare con Joyce lungo il suo noema, contro l’attardante resistenza alla differenza significante; ma c’è di più, al di là della discrezionalità noetica del testo, vi è lo stile, il tratto distintivo che segna il limine soggettivo della facoltà póietica, la cui versatilità, induce la competenza noematica nella stessa misura in cui vela il Nous. Lo stile è il tratto differenziale opposto alle rappresentazioni conformi allo standard del gusto, dove però chi ne gode il limine, gode dell’imago. Il processo di alfabetizzante non è un talento connaturato alla conformità culturale, esso esige selettivamente la facoltà eidetica [4] secondo la singolarità elettiva dell’impegno etico.
Vi è in questa causa il dispositivo inclusivo/esclusivo di chi si situa nel punto dell’ultimità eidetica, l’hic et nunc dell’atto creativo. Posta la distinzione generale fra il modo figurativo e l’astratto, occorre una puntualizzazione: è nella potenzialità della traslazione dalla cosa all’icona che il figurativo, con l’associare per similitudine, perviene alla noematica dell’imago, mentre l’astratto, esposto com’è alla verifica semiologica, chiama in causa la prova noematica.[5]
Ora si pone necessariamente un quesito: quando l’opera non è figurativa, dal punto di vista semiotico
cosa rappresenta? La linea linguistica novecentesca è concorde nel definire i sistemi di rappresentazione secondo tre registri semiotici: il reale, il simbolico e l’immaginario; il reale è la fissità letterale della cosa identica a sé, il simbolico è il tratto sostitutivo che trascende la letteralità della cosa nella virtuosità dell’imago, e l’immaginario è la potenzialità noetica delle rappresentazioni arbitrarie. È all’insegna del Nòmos che il Nous (pregnanza ideativa) assurge alla potenzialità simbolica delle rappresentazioni iconiche, ma l’atto d’arbitrio creativo è l’esercizio della fondazione del nuovo logos che, per la diversità che introduce, suscita il rigetto; il rigetto è connaturato non solo all’inerzia conformistica, è anche la resistenza al nuovo che sovverte le certezze dei fondamenti acquisiti, e si sa come la tradizione ermeneutica si attenga alla lettera, così come i sistemi conservatori impugnano il dogma imperscrutabile che decreta il Nòmos (legalità significante), sul versante opposto, nella misura in cui a far vigere la nominazione è la voce esclusiva delle intellighenzie in auge, sotto il vessillo di qualche manifesto “neo-neo-neo-ideologico”, si può legittimare qualsiasi arbitrio.
A conclusione della rassegna (necessariamente non esaustiva), se fin qui ho cercato di rintracciare le categorie costitutive della Modernità e di definirle facendo ricorso a ciò che poteva concorrere a nominarle, devo ammettere che, mentre la teoria della nominazione ha raggiunto livelli tanto proficui, paradossalmente, non c’è paradigma strutturale che ricopra il curricolo estetico postmoderno, così è consentita qualsiasi cazzata, chi eleverà il monito decisivo per farla finita?
Gustavo Bonora
NOTE
[1] – Ermeneutica: disciplina interpretativa che attiene a quattro livelli esegetici: letterale, morale, allegorico e anagogico.
[2] – Noetica: noematica (noesis – da noein = pensiero).
[3] – Nous – trascrizione kantiana del concetto platonico (Timeo, 51,D) di realtà intelligibile, oggetto della ragione contrapposta alla realtà sensibile, da cui la nozione noematica di produzione concettuale.
6 – Eidos = forma ideativa, dal greco Eidetikòs = formativo. Virtuosità dell’intelligibile che, secondo Platone è la peculiarità della facoltà di astrazione. In Aristotele è la nozione metafisica generalizzata dell’unicità della virtuosità etica. Il concetto di eidetica è mutuato dai fenomenologi della percezione; Husserl che a suo tempo si riferiva agli Stoici, ne fa la riduzione trascendentale della coscienza in essenza etica, ripresa poi da E. Cassirer in Eidos ed eidololon (R. Cortina 2009), riferito a Merleau-Ponty, Sartre, ecc., per designare la facoltà di dar forma alle idee.
[5] – “…, significa infatti rinunciare a comprendere il mondo effettivo e passare a un tipo di certezza che non restituirà mai il ‘c’è’ del mondo.”: Merleau-Ponty: Il visibile e l’invisibile, Bompiani 1999, p. 34.
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Milano, lunedì 2 gennaio 2012 > Oggi aggiungo che, se sotto la salvaguardia anarchica del Concettuale è possibile qualsiasi arbitrio, quale che sia la sua durata, non essendo che il segno di una transitorietà effimera, si estinguerà, ed è pensabile una premonizione: non esistendo gli estremi epistemici che stabiliscano la delimitazione estetica oggettiva, insorgerà la necessità di una svolta già avvertibile: si ricadrà nell’accademismo più reazionario, e di un avvenire della pόiesis se ne parlerà con il ritorno alla metafisica, unica cifra epistemica universale.
Nel Settanta, quando Flavio Caroli mi invitò a tenere una conferenza al DAMS sulla Pop-art, cercai, fatta salva la nomenclatura dei suoi adepti, di introdurre la mia percezione di una possibile insidia di deriva concettuale. Posta l’irripetibilità del gesto icastico di Duchamp che, come si disse, segna emblematicamente la radicalità eversiva dell’Avanguardia storica come opposizione all’estenuato manierismo di “fine secolo”, quel che allora non seppi asserire era che la sua salvaguardia era la soluzione metafisica e che, senza questo contenitore epistemico, sarebbe stato il caos. La mia premonizione era troppo acerba, e Caroli, sconcertato, non ebbe più motivo di seguirmi.
Eppure, la Gomorra c’è e non ha bordi, anzi, paradossalmente, è all’insegna di uno stato di disagio (fucking) che si celebra la parodia duchampiana: FUCKING KUNST è la rassegna allestita a Friedriche Galerie – Berlin Art Show 2009 e, fuor di metafora, è Gomorra.
F. Menna, per definire il paradigma concettuale, procede proprio dall’atto d’arbitrio di Duchamp, ne leggo un passaggio:
“ Il gesto di Duchamp consiste nel fatto che esso si presenta come un tentativo di afferrare la realtà quasi nel momento in cui questa sta per sfuggire definitivamente alla presa del linguaggio. Presentare l’oggetto in luogo di rappresentarlo può anche voler dire nominare l’oggetto stesso, o, meglio, risalire a una sorta di ‘nominazione prima’, anteriore al linguaggio…”.
(F. Menna, La linea analitica, Einaudi ’75, p. 44).
Meglio di così non si poteva dar senso al Ready-Made: certo, “anteriore al linguaggio”, cioè un sofisma senza epos e senza segno, dunque unario; sicché, posta l’unicità del sofisma, l’atto che fonda lo statuto eidetico, per definizione logica (nonché etica) è irripetibile; ora, fissata la tesi concettuale, la ripetizione, inutilmente tautologica, corrompe lo statuto, ma il vizio degli epigoni che alimenta il manierismo, ripete senza produrre altro epos e altra semiotica. Gustavo Bonora
Interessante! Molto interessante!!! Mi piacerebbe avere la possibilita’ di avvicinare la Vostra realta’ perche’ condivido il Vostro pensiero ! Se lo ritenete interessante Vi chiedo di contattarmi! Grazie , buon lavoro ! Ornella Piluso topylabrys
Grazie per la risposta, dove è possibile contattarla? A noi interessa portare avanti sia il dibattito che creare scambi e collaborazioni sul tema. Ci trova presso http://www.exfabbricadellebambole.com dove ci sono tutti i nostri riferimenti di contatto. Rosy Menta
Oggi aggiungo che, se sotto la salvaguardia anarchica del Concettuale è possibile qualsiasi arbitrio, quale che sia la sua durata, non essendo che il segno di una transitorietà effimera, si estinguerà, ed è pensabile una premonizione: non esistendo gli estremi epistemici che stabiliscano la delimitazione estetica oggettiva, insorgerà la necessità di una svolta già avvertibile: si ricadrà nell’accademismo più reazionario, e di un avvenire della pόiesis se ne parlerà con il ritorno alla metafisica, unica cifra epistemica universale.
Nel Settanta, quando Flavio Caroli mi invitò a tenere una conferenza al DAMS sulla Pop-art, cercai, fatta salva la nomenclatura dei suoi adepti, di introdurre la mia percezione di una possibile insidia di deriva concettuale. Posta l’irripetibilità del gesto icastico di Duchamp che, come si disse, segna emblematicamente la radicalità eversiva dell’Avanguardia storica come opposizione all’estenuato manierismo di “fine secolo”, quel che allora non seppi asserire era che la sua salvaguardia era la soluzione metafisica e che, senza questo contenitore epistemico, sarebbe stato il caos. La mia premonizione era troppo acerba, e Caroli, sconcertato, non ebbe più motivo di seguirmi.
Eppure, la Gomorra c’è e non ha bordi, anzi, paradossalmente, è all’insegna di uno stato di disagio (fucking) che si celebra la parodia duchampiana: FUCKING KUNST è la rassegna allestita a Friedriche Galerie – Berlin Art Show 2009 e, fuor di metafora, è Gomorra.
F. Menna, per definire il paradigma concettuale, procede proprio dall’atto d’arbitrio di Duchamp, ne leggo un passaggio:
“ Il gesto di Duchamp consiste nel fatto che esso si presenta come un tentativo di afferrare la realtà quasi nel momento in cui questa sta per sfuggire definitivamente alla presa del linguaggio. Presentare l’oggetto in luogo di rappresentarlo può anche voler dire nominare l’oggetto stesso, o, meglio, risalire a una sorta di ‘nominazione prima’, anteriore al linguaggio…”.
(F. Menna, La linea analitica, Einaudi ’75, p. 44).
Meglio di così non si poteva dar senso al Ready-Made: certo, “anteriore al linguaggio”, cioè un sofisma senza epos e senza segno, dunque unario; sicché, posta l’unicità del sofisma, l’atto che fonda lo statuto eidetico, per definizione logica (nonché etica) è irripetibile; ora, fissata la tesi concettuale, la ripetizione, inutilmente tautologica, corrompe lo statuto, ma il vizio degli epigoni che alimenta il manierismo, ripete senza produrre altro epos e altra semiotica. Gustavo Bonora
Grazie per la passione e la chiarezza concettuale.
Vorrei condividere qui la mia esperienza di come un pittore non astratto “perviene alla noematica dell’imago”
Il ambito figurativo al soggetto pertiene una ridondanza che lo proietta sempre in primo piano, che lo instaura immancabilmente come argomento del discorso. Il soggetto obbliga a parlare di sé. La pittura gli si minimizza tra le mani, travasata in letteratura. Il “che significa” soppianta il “come e cosa è detto”, non c’è verso. Per ricondurre il discorso sulla pittura si può soltanto ridurre il soggetto al rumore di fondo. Per l’artista ciò significa innescare la virtualità di quel che si può fare con la pittura, condurla al suo massimo espressivo. L’immagine si estenua nel voler svanire del suo soggetto, di questo partner ingombrante che le è dentro e che la istiga di continuo al suo proprio discorso.
Perciò si tratta di rivedere l’idea della figurazione al filtro di un rigoroso metodo sottrattivo, instauratore di un’immagine che sia tutt’uno col senso in atto della creazione dell’opera. Il senso che chiameremo “visione” se non fosse sincronia di piani diversi (visivo, ritmico, tattile, affettivo, …)
L’atto pittorico è il dispiegamento simultaneo di queste tensioni, di questi piani astratti che rispondono alla sollecitazione di un tema, o, piuttosto, di un argomento del discorso pittorico in atto da intendersi come trama infinita di significati connessi all’oggetto, di cui ogni volta, A SORTE, si focalizza un’area, una zona. La casualità con cui ciò avviene non è frutto di un’improvvisazione imponderata, bensì di una precisa strategia di articolazione di forme già nate nell’involontario e per ciò stesso restituite con quella evidenza.
L’opera è una voce viva, un’espressione senza meta, un sistema aperto. E’ sempre imprevedibile come può accadere.
grazie
sergej glinkov
http://it.netlog.com/sergejglinkov
http://www.premioceleste.it/glinkov
Grazie Sergej per la partecipazione a questo dibattito virtuale e, a proposito del virtuale, è pur sempre così che la nostra scommessa gioca la posta della verità. Figurativi o astratti, finché ci si attiene al tableau è sempre di virtualità che vige il mistero dell’arte. E’ pur virtuale anche la scultura, ma è la comparsa delle installazioni che, anche fatte salve le più metafisiche, rende obsoleto il mistero della virtualità. (Gustavo Bonora)
Il decostruzionismo ci porta anche a un altro quesito: un idraulico che installa i pissoire al MAXXIMADREMAMBO (che è come dire “ la Vedova allegra nella sua propria intimità anche”) è un installatore a tutti gli effetti o può essere considerato un’artista dell’installazione (virtualmente parlando)?
Penso che il mistero metafisico stia ancora lì, nella luce Mediterranea a 45° (mezzoidolo e mezzosimulacro), nella tensione tra la presentificazione e apparenza oltre al cristallo liquido retroilluminato (che è come dire P(panem) C(circences).
-sergej glinkov-
Francamente non ho capito. Vuoi spiegare meglio? Grazie.